domenica 28 settembre 2014

Kakhaber Kaladze, carriera calcistica e carriera politica

Kaladze ai tempi del Milan
Dopo essersi ritirato dal calcio, il georgiano Kakhaber Kaladze (ve lo ricordate?) intraprende la carriera politica aderendo al partito Sogno Georgiano-Georgia Democratica, fondato dal filorusso Bidzina Ivanishvili per concorrere alle elezioni politiche del 2012 e presidenziali del 2013.

In seguito alla vittoria del partito a cui ha aderito, Kaladze è stato eletto deputato ed anche nominato Ministro dell'Energia e delle Risorse Naturali oltre ad avere il ruolo di secondo vicepremier.

Un Kaladze che si riscopre politico, dopo aver passato tanti anni della sua gioventù a difendere (come centrale ma soprattutto come terzino) i palloni che si presentavano minacciosi nell'area della sua squadra, giocando anche piuttosto bene, toccando l'apice calcistico con la maglia del Milan.

Cresciuto nella Dinamo Tblisi, squadra con cui esordisce a livello professionistico nel 1993, nel '98 viene ingaggiato dall'ucraina Dinamo Kiev, prima di passare al Milan dal 2001 al 2010 e chiudere infine la carriera al Genoa, appendendo le scarpette al chiodo nel 2012.

Da calciatore ha vinto moltissimo, in particolar modo col Milan, squadra con cui ha conquistato anche i trofei internazionali più prestigiosi: 2 Champions League, 1 Coppa del Mondo per Club, 2 Supercoppe Europee, uno scudetto, una Coppa Italia, 1 Supercoppa Italiana. A livello individuale ha svariate volte conquistato il titolo di "Calciatore georgiano dell'anno".

A carriera conclusa, si è reinventato politico, per un ennesimo caso di contatto fra i due mondi, quello del calcio e quello della politica.

(foto autore: Мельников Александр da http://www.soccer.ru/gallery/1560 CC BY-SA 3.0)

sabato 27 settembre 2014

Romario, dal calcio alla politica. Prossimo obiettivo: sindaco di Rio de Janeiro nel 2016

Romario oggi è un parlamentare ed esponente di spicco del Partito Socialista del Brasile. Come già documentato in un precedente articolo di questo blog è stato molto attivo nel criticare lo svolgimento del Mondiale 2014 nella terra brasiliana visto che sono state fatte delle scelte politiche che hanno penalizzato la gente comune, tagliando anche servizi di base per la popolazione.

Oggi, questo blog vuol tornare a parlare di questo personaggio politico e calcistico. A livello sportivo ha dato tantissimo, facendo gol spettacolari e vincendo numerosi premi, sia individuali che di squadra.

La notizia di questo post è però un'altra, e riguarda il Romario politico: ha deciso di candidarsi come sindaco, di Rio de Janeiro per le elezioni del 2016. Ad annunciarlo lui stesso già nel mese di agosto.
Il 2016 coincide con le Olimpiadi brasiliane, ed il quotidiano brasilano 'O Globo riporta un'intervista di Romario aspirante sindaco dove afferma: "Sarò un eccellente sindaco", e ancora che la politica di oggi è marcia, giacché "Al giorno d'oggi la politica è piena di ladri, in tutti i settori".

Attualmente parlamentare, ha sviluppato col tempo una forte passione politica affermando che ormai la politica gli piace "anche più del calcio".

Romario, che è stato molto attivo in passato nel criticare la Fifa, l'istituzione della politica calcistica mondiale, si sente pronto per questa nuova sfida che lo vedrà protagonista nella prossima campagna elettorale come candidato sindaco di Rio de Janeiro.
(foto: autore zwynglio CC BY 2.0)

venerdì 26 settembre 2014

Austria Vienna e ordine pubblico

Lo stadio casalingo dell'Austria Vienna  (foto, autore: Jacktd, stitched by kaʁstn CC BY 3.0)
Dopo che il gruppo neonazista degli "Unsterblich" riuscì nel 2009 nell'impresa di interrompere per venti minuti la partita di Europa League nel gruppo L della fase a gironi tra Austria Vienna e Athletic Bilbao, venne di fatto imposto alle società austriache la responsabilità di mantenere l'ordine pubblico negli stadi.

A causa di ciò la società dell'Austria Vienna scrisse un apposito regolamento per l'accesso allo stadio casalingo, il Generali Arena. Il regolamento vieta cori offensivi e striscioni, oltre all'indossare indumenti che indicano o rimandano ad attitudini violente. Non solo: il gruppo degli Unsterblich venne diffidato dal ripresentarsi al Generali Arena e ad utilizzare simboli e colori del club dell'Austria Vienna.

Una politica della sicurezza che diede i suoi frutti, se si considera che nel 2009-2010 l'Austria Vienna partecipò alla Champions League ed ottenne per l'occasione un riconoscimento di gratitudine da parte della Uefa per il modo con cui ha risolto, almeno contenendolo, la questione dell'ordine pubblico.

Dopo la questione degli hooligans e quella del PSG, il post di oggi ha voluto prestare la propria attenzione ad un nuovo campionato, quello austriaco ed al modo con cui la questione della sicurezza è stata affrontata.

L'Austria Vienna è un club di buona tradizione in Patria, avendo vinto 24 volte il campionato, 27 volte (primato nazionale) la Coppa d'Austria e 6 volte (primato nazionale) la Supercoppa d'Austria. In ambito internazionale può vantare due Mitropa Cup conquistate nel 1933 e nel 1936.

giovedì 25 settembre 2014

Violenza negli stadi: il caso del PSG

Il Parco dei Principi, lo stadio del PSG
Il Paris Saint-Germain, al fine di isolare ed escludere i tifosi violenti si attivò significativamente nel 2010 a seguito della morte del capo ultrà Yann Lorence, 37 anni del 28 febbraio dovuta a scontri tra gli ultras parigini divisi peraltro da ideologia ed etnia. Tra le due curve dei tifosi del PSG vi è infatti un feroce odio.
L'episodio provocò un severissimo provvedimento da parte dell'allora presidente Leproux, mantenuto anche dalla successiva proprietà. Questo provvedimento venne attuato attraverso drastiche misure, in collaborazione con il Ministero degli Interni di Francia. Si tratta di misure severe come lo scioglimento dei gruppi ultras, la cancellazione immediata di migliaia di abbonamenti appartenenti a persone considerate violente, l'attribuzione nominativa dei posti mediante computer, il divieto di introdurre striscioni, e altro ancora.

Si è trattato quindi di una serie di nuove norme che a detta di molti consentirono alla principale squadra di Parigi di riportare maggiore ordine e sereno durante le partite.

Ristabilito il sereno, la società parigina ha reintrodotto gli abbonamenti, ma attraverso la collocazione casuale degli abbonati. Una misura simile può spiegarsi con l'evitare di mettere assieme nuovi gruppi di violenti.

Quello della violenza negli stadi è un problema grave che necessita di provvedimenti, e quelli adottati dal PSG sono serviti se non altro a placare i più violenti. Non è detto che la strada del PSG sia quella migliore, ciascuno è libero, se crede di contestare le misure adottate dalla società in collaborazione col governo, ma la questione è delicata e complessa. Vi sono dei Paesi europei in cui il fenomeno dei violenti è ormai qualcosa di marginale, seppur comunque presente come ad esempio in Inghilterra (come un post precedente spiega), altri paesi dove tale questione è ancora lontana dal trovare una adeguata soluzione. In Francia si cerca anche l'approccio della prevenzione del fenomeno, istituendo campagne pedagogiche nelle scuole per i bambini residenti nel Paese.

(foto attribuzione: Walveur di Wikimedia Commons CC BY-SA 3.0)

mercoledì 24 settembre 2014

Politica del calcio - Parte 10: lo ius soli sportivo in Italia?


Damiano Tommasi
Recentemente Damiano Tommasi, presidente AIC si è espresso in merito ad una spinosa questione politica, trasportandola in quella del calcio: "In attesa di novità dal Parlamento sul tema della rifroma della legge sulla cittadinanza, chiederemo alla Figc l'inserimento dello Ius soli a livello sportivo" Una norma secondo Tommasi fattibile che farebbe fare "Un gran salto qualitativo al calcio nel nostro paese".

Per Ius soli si  intende ottenere la cittadinanza in un paese proprio e solo perché nati in quel paese. Chi è nato o nasce in Italia diverrebbe automaticamente cittadino italiano. Non tutti sono d'accordo con questa norma, che infatti non è ancora stata approvata, e forse non lo sarà mai. In effetti la materia in questione è complessa. C'è chi conferisce alla cittadinanza un valore alto, qualcosa di importante che non può essere "regalato" o conferito in modo eccessivamente "leggero". Punti di vista.

Stabilito cos'è lo Ius soli, occorre comprendere se effettivamente quello sportivo è applicabile. Ma cosa si intende per Ius soli sportivo? Che la norma dello ius soli vale solo per chi è sportivo? No, che tale ius soli ha semplicemente carattere sportivo.

Si verrebbe in pratica considerati "italiani" solo calcisticamente, senza cioè quelle restrizioni imposte ai calciatori non comunitari. Per Tommmasi questa norma può essere applicata, non va in contrasto con la legge italiana; per Carlo Tavecchio (presidente Figc) invece occorre valutare per bene una simile opportunità, giacché si rischia di violare la legge.

Con uno Ius soli sportivo gli atleti potrebbero essere omologati anche statisticamente (per eventuali record) a quelli italiani, ma non potrebbero comunque indossare la maglia della Nazionale azzurra.

Una questione spinosa e controversa, una faccenda politica che avrebbe importanti conseguenze sul mondo del calcio: i giocatori nati in Italia da genitori stranieri non comunitari non sarebbero infatti più soggetti ad alcuna restrizione ai fini dell'impiego nei vari campionati, laddove il campionato prevede un tetto massimo di calciatori extracomunitari acquistabili e adoperabili dalle squadre italiane.

(foto Luca Volpi (Goldmund100) CC BY-SA 3.0)

martedì 23 settembre 2014

Politica del Calcio - Parte 9: Tavecchio sulla riforma dei campionati

Carlo Tavecchio, ospite della trasmissione radiofonica La politica nel pallone su Gr Parlamento ha parlato di argomenti interessanti dal punto di vista dell'informazione.

Dopo i risultati ottenuti a Milano per la Champions 2016 e a Roma per Euro 2020, adesso è giunto il momento di riformare i campionati, avvisa il presidente della Figc.

Si perché "Questo Paese ha bisogno di frustate, bisogna creare delle soluzioni" e "La riforma dei campionati è la madre di tutte le battaglie". Molto probabilmente vi sarà una riduzione dei fondi statali, e se cio avverrà, per Tavecchio e la sua squadra di governo occorrerà trovare soluzioni drastiche, "Anche se non è possibile che non ci sia uno stanziamento di un euro per le società dilettantistiche quando lo Stato incassa un miliardo e 40 milioni da quelle professionistiche".
Nell'intervista si toccano anche altre questioni, ma l'argomento clou di questo post intende essere la questione della riforma dei campionati.

Perché ed in che modo si vuole riformarli? Si pensa che arriverà meno denaro in futuro da parte del governo, sicché al consigliere federale Claudio Lotito spetta il compito di riformare, dal punto di vista organizzativo e finanziario. Naturalmente le decisioni finali sulla riforma verrano prese dall'intero Consiglio federale, precisa Tavecchio.

Quindi la prossima importante tappa del massimo organo calcistico nazionale sarà quella di pensare ad una riforma che si adatti alle esigenze del governo italiano.

lunedì 22 settembre 2014

Nazionale olandese ai tempi di Rinus Michels

Rinus Michels
La nazionale di calcio dei Paesi Bassi guidata dall'allenatore anarchico Rinus Milches fu una gran bella nazionale, combattiva e piena di buoni giocatori. Secondo Anarchopedia, quella selezione anni settanta era figlia degli anni '60 ossia il periodo della ribellione e della contestazione. Un'era in cui vennero messe in discussione e attaccate molte regole della società capitalistico-borghese: ovvero la tradizione, l'ordine costituito, l'autorità.

Normalmente le squadre di calcio si basano su schemi rigidi, nel senso che ognuno ha un determinato ruolo gerarchico che va rispettato, e la dirigenza comanda l'allenatore che ha autorità sui calciatori, e i calciatori si adeguono, sicché i difensori difendono, gli attaccanti attaccano, e così via. Con l'arrivo di Rinus Michels nella nazionale arancione, molti schemi classici vennero rivisti, offrendo un modo innovativo di concepire il gioco del calcio.

Rinus Michels iniziò a portare le sue idee alla guida dell'Ajax (3 scudetti dall '66 al '68 e due finali di Coppa dei Campioni di cui una vinta nel '71). Per il sito di Anarchopedia è proprio con la nazionale olandese che l'anarchia entrerà prepotentemente nel mondo del calcio.

Michels lasciò ai giocatori la libertà di andare in ritiro con moglie e figli, senza repressioni di alcun genere, piena autonomia, libertà di autogestirsi, fumare, bere, dedicarsi a ciò che più si desiderava: i calciatori insomma non dovevano reprimere la loro personalità.

In campo viene praticato il così detto "Calcio Totale", una rivoluzione radicale, laddove i ruoli non sono da concepire come rigidi e schematici, ma necessitano di interpretazioni fantasiose da parte dei calciatori: i due terzini e le ali si scambiano di frequente i ruoli, i centrocampisti si alternano sia nella fase difensiva che in quella offensiva, gli attaccanti (come Neeskens e Crujiff) tentano di segnare in tutti i modi possibili, sulla base della loro creatività. Inoltre, il portiere Jonglobed in quella squadra sfrutto molto il gioco con i piedi, e uscì con discreta frequenza fuori dalla sua area; Johan Cruijff il più forte attaccante olandese si muoveva a tutto campo a seconda delle necessità e dello sviluppo dell'azione di gioco, difatti l'appellativo di attaccante per lui fu solo una nomina ufficiale, giacché si muoveva ovunque.

Insomma il Calcio Totale di Michels per Anarchopedia è anarchia. Per "anarchia" non si intende il non rispetto delle regole, ma la condivisione di queste regole senza quell'autorità che impone una gerarchizzazione discriminatoria della società.

Michels vinse qualche importante trofeo a livello di club, ma con gli arancioni poco. Questo vale la pena indicarlo così come fa lo stesso sito più volte citato, eppure campioni del genere, secondo il sito dell'enciclopedia anarchica in una selezione nazionale di un paese in fondo piccolo, forse non sarebbero affatto nati senza gli schemi nuovi e libertari del Ct Michels.

Lo stesso Michels, venne riconosciuto nel 1999 dalla Fifa come "Allenatore del secolo".

Ovviamente l'associazione dell'anarchia a questa nazionale è soggettiva (e forse qualcuno può anche non trovarsi d'accordo), eppure Anarchopedia effettivamente svela tante analogie tra questa ideologia e i metodi del Ct Michels dentro e fuori il rettangolo verde.

Il caso appena esposto può essere considerato un esempio di relazione fra calcio e politica dal punto di vista meramente ideologico.

Infine, va sottolineato che Michels ha vinto anche all'estero, ottenendo un campionato spagnolo e una Coppa di Spagna col Barcelona negli anni settanta e una Coppa di Germania con il Colonia negli anni ottanta.

Anche con la nazionale olandese ha vinto un trofeo: l'Europeo del 1988. A livello individuale, oltre all'allenatore del secolo del '99 prima citato, ha vinto anche la Uefa Lifetime Award 2002 e, nel 2004, il titolo di "Miglior allenatore in 50 anni di calcio professionistico in Olanda".

(foto: Bogaerts, Rob / Anefo CC-BY-SA-3.0-nl)

domenica 21 settembre 2014

Politica del calcio - Parte 8: A Milano la finale di Champions 2016, Roma tra le città che ospiteranno l'Europeo 2020

Carlo Tavecchio, presidente della Figc ha recentemente commentato la scelta del Comitato Esecutivo Europeo che a Ginevra ha scelto Roma come una delle sedi dell'Europeo 2020. Ha menzionato anche il fatto che il giorno prima della scelta di Roma, la città di Milano attraverso lo stadio di S. Siro ospiterà la finale di Champions League 2016 (in un precedente post questo blog parlò della candidatura della città meneghina).

Fa sapere Tavecchio che la candidatura di Roma è stata supportata anche dal governo italiano, dall'ente Roma Capitale, dal Coni e le componenti federali "Ed è giusto condividere tutti insieme questo successo".

Il 2020 è tra l'altro l'anno del 60° anniversario dell'Uefa, quindi un anno abbastanza significativo, il che significa per Tavecchio che l'Italia sarà un punto di riferimento europeo nei prossimi anni, visto che lo scorso anno si è disputata la finale di Europa League a Torino, che Milano ospiterà la finale di Champions League 2016 (sede scelta proprio il giorno prima della scelta di Roma per Euro 2020), e che infine Roma avrà l'onore di ospitare parte di questa competizione, ossia tre gare del Primo Turno e un quarto di finale. Assieme a Roma anche Monaco (Germania), San Pietroburgo (Russia) e Baku (Arzebaigian). Londra invece ospiterà semifinale e finale.

Infine Tavecchio ha affermato che "Da un punto di vista sportivo attraverso Euro 2020 è nostro intendimento consolidare la dimensione internazionale del calcio italiano, contribuire a guidare il percorso di rinnovamento dei nostri stadi e sostenere una crescita ulteriore del nostro movimento calcistico, con particolare riferimento alla base".

Sarà un campionato europeo con più nazioni ospitanti protagoniste, e fra queste vi sarà anche l'Italia attraverso Roma. L'Italia ha ospitato anche altre volte questa competizione, incluse le finali: nel 1968 sempre a Roma la finale fu Italia-Juogoslavia finita 1-1  e poi, ripetuta , finì 2-0 per gli azzurri (altre partite del torneo di quell'anno si giocarono a Firenze e Napoli); e nel 1980, quando vinse la Germania Ovest in finale contro il Belgio sempre nello stadio Olimpico di Roma (altri stadi italiani ospitanti furono quelli di Milano, Napoli e Torino).

sabato 20 settembre 2014

Aparheid e sport in Sudafrica

Sudafrica contro Messico, Mondiale 2010
Per quale ragione, normalmente le nazioni povere non sono forti nello sport? Lo spiegano in un loro libro Simon Kuper e Stefan Szymanski, dal titolo Calcionomica. Meraviglie, segreti e stranezze del calcio mondiale: perché in quei paesi poveri la maggior parte delle persone non ha denaro a sufficienza per permettersi le cure mediche adeguate e un'alimentazione corretta, e quindi queste persone crescono poco alte e fisicamente minute.
La maggior parte dei paesi africani, ad esempio non compete in numerosi sport, calcio e corsa a parte.

Il Sudafrica è un paese che qualche successo lo ha ottenuto nel corso della sua storia, ma ciò è dovuto ad un gruppo etnico che costiutisce solo il 10% (4,3 milioni su 48 milioni) degli abitanti del paese: i bianchi. I bianchi sudafricani se la cavano bene in molti sport di squadra, eppure nel calcio sono pochi, e ciò comporta tra le altre cose che la nazionale sudafricana non ottiene risultati significativi.

Steven Pienaar, centrocampista sudafricano dell'Everton ha la struttura fisica di un bambino, ed è difficile incontrare qualche altro calciatore che in Europa è gracile quanto lui.

Uno dei motivi per cui nel calcio il Sudafrica non eccelle è perché la maggior parte di loro è cresciuta senza avere abbastanza cibo. L'apartheid che si basa sull'ideologia della diversità fra "razze" finì col creare un Sudafrica bianco, un Sudafrica nero, uno "coloured" ed uno indiano: come se si trattasse di popoli differenti tra loro.

I bianchi sudafricani sono fisicamente messi meglio rispetto ai neri, e per questa ragione non c'è da meravigliarsi di come il calcio sudafricano non ottenga risultati che si avvicinino almeno un po' a quelli di cricket e rugby della stessa nazione: se la selezione nazionale di calcio è composta per lo più da giocatori di colore, le altre due squadre appena menzionate sono formate per lo più da bianchi.

La tenuta fisica è sicuramente importante nello sport. Poi magari vi sono anche altre cause per cui il Sudafrica non eccelle nel calcio, ma la tesi per cui l'apartheid che ha diviso le varie etnie sudafricane abbia in qualche modo contribuito ad avere un calcio di livello non eccelso in questo paese dell'Africa, può anche a detta di chi scrive essere presa per buona.

La politica dell'aparheid era la politica di segregazione razziale istituita dal governo di etnia bianca del Sudafrica, e rimasta attiva fino al 1993. Questa politica di discrimazione razziale fu dichiarata crimine internazionale da una convenzione delle Nazioni Unite votata nel 1973 ed entrata in vigore nel 1976, ed in seguito venne inserito nella lista dei crimini contro l'umanità.

L'apartheid divenne un sistema legislativo compiuto nel 1948, ed includeva la separazione di bianchi e neri nelle zone abitate da entrambi, per esempio riguardante l'uso delle strutture pubbliche (quindi ospedali) e mezzi pubblici. L'aparheid includeva anche l'introduzione dei bantustan, territori semi-indipendenti dove molti neri si trasferirono con costrizione. Questi ghetti privavano i sudafricani che vi risiedevano della cittadinanza e dei diritti ivi connessi.

L'apartheid fu quindi una politica della separazione tra razze, e fra le altre cose proibiva i matrimoni interraziali, ed imponeva ai cittadini di essere registrati in base alle loro caratteristiche razziali. Vi erano inoltre delle leggi che rendevano difficile ai neri l'accesso all'istruzione. Ma c'e dell'altro: i negozi dovevano servire prima tutti i clienti bianchi, e solo in seguito i neri, ed i neri potevano frequentare i quartieri dei bianchi solo con degli speciali passaporti.

(foto CC BY 2.0 autore: Celso FLORES from Paris, Fr)

venerdì 19 settembre 2014

L'Anarchist Soccer League

Nel 2000 negli Stati Uniti d'America venne fondata una lega calcistica di stampo anarchico e rivoluzionario: l'Asl, ossia Anarchist Soccer League.

Questa lega sin dalla nascita si pose quale scopo principale di sottrarre il gioco del calcio alle influenze del capitalismo, di staccare la forte componente economica che influenza il gioco, in favore del semplice sport, nella sua forma più naturale, quella cioè del gioco. Anche se con qualche regola un po' diversa.

L'Asl si costituì infatti nel più ampio Anarchist Soccer, un progetto volto a favorire il calcio come punto di incontro fra persone. Si tratta di uno sport con qualche regola un po' diversa dal calcio "vero", giacché il regolamento si basa sul rispetto reciproco e l'amicizia.

Un modo per valorizzare il calcio in una forma pro-positiva, enfatizzandone l'aspetto di socializzazione che possiede.

Una delle squadre più vincenti di questa lega è il Kronstadt FC, così chiamata perché fa riferimento a dei marinai rivoluzionari che nel 1921 si ribellarono al potere del governo bolscevico russo.

I tornei di questa lega si  basano sull'Anarchist Soccer. Chiaramente lo scopo che si prefegge il progetto ha una matrice oltre che di natura politica (per la chiara avversione al capitalismo), anche di tipo sociale.

Forse esperimenti come questi possono servire a riflettere sul fatto che il calcio, per quanto spettacolare e per quanto seguito e per questo sfruttato sia politicamente che economicamente (pay tv, sponsor), in fondo è soprattutto un gioco, di squadra, e proprio per questo un valido strumento per stare insieme, cooperare, socializzare e migliorare le relazioni fra persone.

giovedì 18 settembre 2014

Quando un sindaco intervenne sugli errori arbitrali

Agrigento vista dalla Valle dei Templi
Accadde nel dicembre del 2011, il sindaco Marco Zambuto della città di Agrigento intervenne a favore della squadra cittadina, l'Akragas e a difesa degli sforzi economici della società agrigentina.

L'Arbitro della gara Akragas-Ribera arbitrò male, a detta del sindaco: 3 espulsioni a favore del Ribera sono troppe.

Un ennesimo caso di vicinanza alla squadra manifestata dal sindaco cittadino. E pensare che quest'estate i tifosi agrigentini protestavano proprio contro il Comune reo di non aver fatto abbastanza o proprio nulla per favorire il ripescaggio in Lega Pro (come documentato in un precedente post).

Secondo il sindaco Zambuto, che si espresse convintamente a favore dell'Akagras, l'arbitro non ha arbitrato in maniera obiettiva, e ciò ha scaturito le reazioni di qualche sostenitore, e solamente -sempre secondo il sindaco- il buon senso e la sportività della maggior parte degli agrigentini ha evitato che accadessero episodi ancor più spiacevoli di qualche caso sporadico.

Un sindaco molto schierato, dunque. Ma a questo proposito sorge un dubbio: questo sindaco è lo stesso attualmente in carica presso il comune di Agrigento? No. Infatti da luglio 2014 vi è il commissario prefettizio Luciana Giammarco.

Comunque, all'epoca dei fatti (2011) l'Akragas era in Eccellenza, e alla fine si piazzò al terzo posto, non riuscendo a vincere ai play off. Tuttavia, nella stagione seguente 2012-13 salì direttamente in Serie D grazie al primo posto ottenuto. Nel 2013-14 perse la finale play off contro la Corregese per la promozione in Lega Pro. Del ripescaggio non se ne è fatto nulla, sicché al club non resta che riprovare a conquistare la terza serie sul campo, che è anche più soddisfacente.

Il Ribera, la squadra che si avvantaggiò delle tre espulsioni concluse il campionato 2011-12 al primo posto, ottenendo l'accesso diretto in Serie D proprio in quella stagione della sfida contro l'Akragas, che per la cronaca si disputò ad Agrigento prima della sosta natalizia e terminò per 2-1 a favore proprio del Ribera.

Il Ribera è una squadra dell'ominimo comune, in provincia proprio di Agrigento. Si piazzò al dodicesimo posto nella sua stagione in Serie D, ma purtroppo per il club, non riuscì ad iscriversi al successivo massimo campionato dilettantistico per difficoltà finanziarie.

(foto jschoenhofer CC BY-SA 2.0)

mercoledì 17 settembre 2014

Nazionale italiana, politici italiani, Ciro Esposito e questione sicurezza: le parole di Marco Tardelli

Napoli, 1978: Tardelli affronta Michelle Platini in un'amichevole
Un articolo di Dagospia datato 25 giugno 2014 parla dell'Italia, della nazionale di calcio, del ferimento di Ciro Esposito (che poi morì in ospedale), della politica e dei politici italiani tramite un'intervista rivolta a Marco Tardelli, che fu anche calciatore e Ct azzurro.

Tardelli afferma che è giunta l'ora che i politici ci diano un taglio con la retorica del pallone. "Non si può affermare che se l'Italia vince una partita il Paese voli o viceversa. L'Italia è stata eliminata (al Mondiale, ndr) perché ha trovato un mezzo arbitro, perché ha giocato una brutta gara con la Costa Rica e perché contro l'Uruguay è stata anche sfortunata".

Secondo Tardelli "Prandelli sarebbe stato perfettamente in grado di proseguire nel suo ruolo di Ct, è il contesto in cui si muove il mio sport dalle nostre parti che deve cambiare".

Tardelli parla anche di Ciro Esposito, il ragazzo di Napoli ferito e poi deceduto a Roma poco prima dell'inizio della partita della finale di Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina all'Olimpico, a causa di un attacco ricevuto da un ultrà romanista, un delinquente che ferisce pesantemente una persona solo perché napoletana. "Il mio timore è che Ciro Esposito, non un ultrà violento, ma uno che passava lì quasi per caso sia ricordato solo dai suoi familiari. Gente fantastica, che nonostante il trauma indicibile e il dolore, ha detto e saputo trovare le parole migliori[...]Parole distanti dalla vendetta".

Per Tardelli è "Inutile sostenere che il calcio italiano abbia seri problemi di violenza senza chiederci come e dove intervenire per risolverli ogni giorno. Andare alla partita e prendersi un colpo di pistola non è normale, è allucinante".

Secondo Tardelli l'esempio contro i violenti andrebbe ricercato nell'Inghilterra degli anni ottanta (questo blog già affrontò il tema inglese in un post precedente), laddove "Erano a terra, assediati dai "barbari". Hanno voluto risolvere la questione tifo violento in una notte e l'hanno fatto."

L'ex Ct afferma che i politici "Invece di gonfiare le vele della retorica e chiedere alla squadra (la Nazionale, come qualche politico aveva proposto, ndr) di dedicare la qualificazione a Ciro Esposito, sarebbe il caso di fare qualcosa di concreto. E da fare, ci sarebbe moltissimo". Infatti per Tardelli non bisogna piangere il dramma: il dramma deve essere prevenuto.

Ancora Tardelli, ricordando l'Italia campione al Mondiale 82 in cui segnò un gol decisivo: "Il nostro successo aiutò l'economia, rilanciò lavoro e industria (un post di questo blog, tra le altre cose, se ne parlò), ma l'afflato patriottico di questi giorni mi fa desiderare un calcio più serio. Non si può affermare che se l'Italia vince una partita il Paese voli o viceversa. I politici si divertono e amano scendere e salire sul carro del pallone freneticamente, ma l'Italia non può salvarsi con il calcio, è solo un'illusione e non del tutto onesta."

Parole pesanti quelle di Tardelli verso i politici, volte a spingerli a fare qualcosa di concreto sia per la situazione particolare che vive l'Italia in quanto paese, sia per quanto riguarda la violenza negli stadi. I politici, con il ministro Alfano, qualche misura dopo il fatto di Ciro Esposito l'hanno presa, e il blog in un post lo ha documentato, ma bisognerà vedere se effettivamente sortirà gli effetti sperati, ossia contenere gli episodi di violenza.

martedì 16 settembre 2014

Gli scappellotti di Dragovic

Dragovic con l'Austria Vienna (foto Steindy
Un caso nuovo e inedito per questo Blog fra i vari esempi di possibili tipi di contatto tra calcio e politica, due mondi così diversi eppure in diversi casi così vicini, arriva dalla Svizzera.

Nel maggio 2006 il difensore del Basilea Aleksandar Dragovic ha dovuto fare delle formali scuse al ministro della Difesa e dello Sport Ueli Maurer dopo la finale di Coppa Svizzera. durante la premiazione: gli aveva dato tre scappellotti...
Ueli Maurer (foto Bundeskanzlei)

Un caso di relazione fra calcio e politica in cui calcio e politica in senso stretto c'entrano poco. Qui il caso è centrato su due figure, un politico e un calciatore che sono stati protagonisti di una vicenda né calcistica né politica. Quindi, il contatto tra i due mondi avviene solamente attraverso degli esponenti di quel mondo, attraverso un gesto di umiliazione fatto da un calciatore a un politico.

Si tratta di un caso che vede il mondo del calcio umiliare la politica? La vicenda può avere diverse chiavi interpretative, ma fatto sta che il calciatore si è poi dovuto scusare.

Il ministro, a dire il vero non ci aveva prestato tanta attenzione, ma dopo una settimana dall'accaduto il giocatore ha affermato davanti ai suoi tifosi: "Questo Ueli Maurer, o come si chiama, potrei scusarmi con lui, ma in realtà faccio molta fatica a scusarmi. Tutti sanno che è stato molto, ma molto divertente".

Queste parole hanno scatenato un putiferio in ambito mediatico e politico, al punto che Dragovic si è dovuto recare a Berna per scusarsi di persona.

Il Ministro dal canto suo ha accettato le scuse, auspicando che cose del genere non si ripetano più. In tale occasione il Ministo ha poi colto l'occasione per congratularsi col Basilea, campione svizzero in quell'anno (2012) nonché vincitore della Coppa di Svizzera.

Dragovic è un difensore di origine serba con passaporto austriaco. Cresciuto calcisticamente nell'Austria Vienna, dopo aver militato nel Basilea attualmente è alla Dinamo Kiev.

Il Basilea è una delle squadre più rappresentative della Svizzera calcistica. Anche se stasera ha perso pesantemente contro il Real Madrid in Champions League (1-5), si tratta di un club ancora molto forte in patria, e tra l'altro disputare la massima competizione europea in un paese non particolarmente felice per il calcio, è già tantissimo.


lunedì 15 settembre 2014

Calcio tedesco: la svolta anni ottanta del St. Pauli

Il logo dei tifosi
Nella metà degli anni ottanta la squadra del St. Pauli (ragione sociale F.C. St. Pauli von 1910) si rese protagonista di una svolta che le fece cambiare immagine, e acquisire numerosi nuovi tifosi nonostante i risultati sportivi non brillanti. Divenne un fenomeno cult.

Il cambio d'immagine fruttò tantissimo a questo club di Amburgo fondato nel 1910. La tifoseria della squadra di calcio adottò come simbolo un teschio con le ossa incrociate,  la società cambiò la sede delle gare casalinghe spostandosi nello stadio del quartiere di Amburgo a luci rosse, nella zona del porto. Si trattò di una rinnovata immagine trasgressiva, anticonformista ma anche legata alla sinistra radicale e antifascista, e non a caso il club bandì l'ingresso nel proprio stadio a tifosi di estrema destra.

Le scelte che la società fece portarono la sezione calcio di questa società polisportiva con sede nel quartiere St. Pauli, ad avere un seguito di tifosi che se nel 1981 si aggirava intorno ai 1600, divennero ben 20000 a fine anni novanta.

Si tratta di un caso di identificazione politica che in qualche modo aiutò l'immagine e l'identità di una squadra di calcio.

La tifoseria pertanto è esplicitamente legata a socialismo, comunismo, anarchismo e antifascismo. Società e tifosi insieme promuovono anche iniziative comuni contro il razzismo. Inoltre il club tende a presentarsi come un sodalizio che per sua natura è contro tutto ciò che è il "sistema".


(foto: autore VEO15; CC BY-SA 4.0  )

domenica 14 settembre 2014

Squadre romane: rivalità tra Roma e Lazio


Bruno Conti (Roma ) e Bruno Giordano (Lazio) si salutano prima del derby Lazio-Roma 1979-80
La partita che mette a confronto i biancocelesti contro i giallorossi, ossia gli aquilotti contro i lupacchiotti, in pratica la S.S. Lazio contro la A.S. Roma è un derby accesissimo che pone di fronte due diverse realtà della Capitale del Belpaese.

La dicotomia tra Lazio e Roma almeno all'inizio indicava la contrapposizione di due classi sociali differenti.

Tendenzialmente le persone altolocate della Roma bene tifavano Lazio, anche perché lo stadio in cui la squadra scelse di giocare all'inizio aveva sede allo Stadio della Rondinella, situato ai Parioli, quartiere della medio-alta borghesia.

La Roma giocava invece inizialmente nel rione popolare di Testaccio, nello stadio omonimo.
Sembra possibile indicare, in linea generale, l'appartenza politica di entrambe le squadre: la Lazio sarebbe naturalmente collata a destra, per tutta una serie di motivi, mentre la Roma più a sinistra essendo espressione, a partire dalla fondazione delle classi sociali meno agiate.

Naturalmente tali dicotomie ideologiche vanno prese con cautela, in quanto la rivalità tra le due formazioni non è di tipo politico, ma principalmente agonistico. Detto ciò, indubbiamente molti ultras della Lazio sono di estrema destra, inoltre uno dei capitani del passato biancoceleste fu Paolo Di Canio, attaccante famoso per i suoi "braccio teso e mano aperta" (nel fare il saluto romano rivolto al pubblico). Come se non bastasse, il dittatore Benito Mussolini fu un socio della Lazio, e pur non essendo tanto amante del calcio preferendo altri sport, a qualche partita degli aquilotti sedette sugli spalti.

La tifoseria romanista, pur essendo storicamente espressione della Roma popolare, è ricordata come apolitica. Un sondaggio pubblicato nel 2012 su La Repubblica e condotto dall'istituto Demos & Pi indica che i sostenitori giallorossi sono in prevalenza legati al centro-sinistra.

Da ciò si evince che la politica non è all'origine della rivalità delle due squadre romane, in quanto essa deriva soprattutto da fattori prettamente calcistici. Anche se, come appena descritto, sembra esserci anche storicamente una certa tendenza sinistroide fra i supporters della squadra giallorossa, mentre è molto forte l'identità di destra della Lazio.

Parlando di calcio giocato, il derby della Capitale è stato giocato 176 volte, ed il confronto annovera 50 vittorie per la Lazio (gol totali: 175), 62 pareggi e 64 vittorie giallorosse (gol totali: 216).
Il primo incontro venne disputato nel 1929-30 in Serie A: la Roma vinse 1-0 fuori casa. L'ultimo è stato disputato la scorsa stagione sempre in A ed è finito 0-0.

Le prossime sfide in campionato si disputeranno a gennaio, "in casa" per la Roma e alla fine di maggio, "in casa" per la Lazio (anche se da un bel po' -a partire dal 1953- le due compagini giocano nello stesso impianto, ossia lo Stadio Olimpico).

sabato 13 settembre 2014

Quando la politica ostacola il calcio - Parte 4: il rifiuto dell'URSS di giocare a Santiago

Stadio Nazionale di Santiago
Nel 1973 l'Urss a novembre rifiutò di affrontare il Cile a Santiago nello spareggio utile a qualificarsi alla Coppa del Mondo.

Lo Stadio Nazionale di Santiago, dove la partita doveva svolgersi era stato fino a poche settimane prima un vero e proprio campo di concentramento. La partita durò 2 minuti, il tempo per il Cile di segnare un gol contro... nessuno!! Il tutto dinnanzi a circa 20mila spettatori straniati.
A causa di ciò la Fifa assegnò la vittoria a tavolino del Cile per 2-0, sicché i cileni si qualificarono al Mondiale 1972.

L'andata del confronto si giocò regolarmente a Mosca, ma per il ritorno l'Urss presentò un reclamo per evitare di giocare a Santiago in quello stadio usato come campo di concentramento. Il reclamo non venne accolto, e a passare il turno fu dunque il Cile.

Una storia che s'intreccia necessariamente con la politica in quanto il Cile di quel periodo non se la passava bene, a causa della situazione che quel paese stava vivendo per colpa del suo nuovo presidente. L'Urss si rifiutò di giocare a Santiago proprio a causa del dittatore cileno e di quello Stadio Nazionale (non che l'Urss fosse però una democrazia, vale la pena ribadirlo in questo caso).

Augusto Pinochet, con il suo colpo di stato militare si autonominò presidente, trasformando il Cile in un paese fortemente dittatoriale. Governò il paese dall'11 settembre 1973 all'11 marzo 1990 e si rese responsabile di crimini contro l'umanità.

In quel Mondiale del 1974 giocato in Germania Ovest, la nazionale cilena non andò oltre il primo turno, ottenendo due pareggi (1-1 vs. Germania Est e 0-0 vs. Australia) e una sconfitta contro i tedeschi occidentali per 1-0.

venerdì 12 settembre 2014

La Sentenza Bosman - Parte 2

La Sentenza Bosman ha avuto delle ripercussioni negative sulla squadra olandese dell'Ajax.

Come ricordato nel post di ieri, la sentenza ha sia degli elementi che vanno a vantaggio delle società di calcio, facendo affari a "parametro zero" sia a vantaggio dei calciatori, i quali una volta scaduto il contratto possono accordarsi già sei mesi prima che il contratto scade per accasarsi, tramite pre-contratto, in un'altra squadra. In più, non vi è più distinzione tra italiani, francesi, spagnoli, greci, inglesi, tedeschi: sono tutti comunitari, tutti europei e pertanto uguali. Quindi il tetto imposto per gli stranieri cambia, proprio perché cambia il concetto di "straniero" che a partire da quella sentenza, per quanto concerne il calcio, fa riferimento esclusivo agli extracomunitari.

Questa norma ha dei vantaggi, ma indubbiamente presenta anche degli svantaggi: ad esempio una società pùò perdere un calciatore forte senza guadagnarci nulla, oppure può succedere quanto accaduto all'Ajax.

Dopo la finale del 1996, raramente l'Ajax ha sfiorato ancora la Champions League, a causa del poco denaro a disposizione nelle casse della società.

La sentenza, come spiegato sul post di ieri diede ragione a Bosman in quanto un calciatore è un lavoratore (applicazione dell'articolo 39 del Trattato di Roma anche nel mondo del calcio).

Ma cosa si potrebbe fare per limitare i danni ai club con poco denaro? L'Atletico Madrid, campione in carica della Liga ad esempio va avanti vendendo i calciatori migliori, guadagnando sul plusvalore e permettendosi l'acquisto di altri promettenti giovani o comunque rinforzando determinati reparti in sede di calciomercato.

Un'altra soluzione, per Louis Van Gaal ex tecnico dell'Ajax ai tempi del titolo di Campione d'Europa (in seguito Barça, nazionale olandese, ecc.) potrebbe essere quella di vietare il trasferimento all'estero prima del compimento del 21esimo o 23esimo anno di età. In più per Van Gaal andrebbero tutelati maggiormente i club minori, giacché per il calcio è dannoso promettere stipendi enormi ai giovani talenti così soffiati a zero euro alle squadre con meno risorse, per poi rivenderli nella stagione successiva realizzando forti ricavi.

La questione, appunto può riflettere punti di vista differenti. Laddove qualcuno individua degli svantaggi (che alcuni club, come ad esempio l'Atletico Madrid riescono comunque ad ovviare), qualcun altro può vederci maggiori vantaggi.

La sentenza, oltretutto non vede solamente nel parametro zero il suo punto più significativo: infatti il non fissare dei paletti in rosa per quanto riguarda qualsiasi calciatore comunitario, può presentare dei vantaggi per alcune squadre che così possono rinforzare magari a poco prezzo dei reparti (difesa, centrocampo, attacco) altrimenti troppo deboli; oppure presentare degli svantaggi ai calciatori locali, che possono vedersi soffiare il posto dagli stranieri.

Per quanto riguarda quest'ultimo punto, sia Albertini che Tavecchio (da cui la famosa polemica legata alle banane) in sede di campagna elettorale hanno indicato nei loro programmi la volontà di puntare sui giovani calciatori residenti in Italia.

Insommma: molte cose se viste in una particolare ottica presentano elementi positivi, e come spiegato la Sentenza Bosman qualcosa di buono per le squadre e gli stessi calciatori le ha, ma presenta anche degli elementi negativi che in qualche modo bisogna cercare di superare, per il bene dello stesso gioco del calcio.

giovedì 11 settembre 2014

La Sentenza Bosman

Jean-Marc Bosman è un ex centrocampista belga. Smise di giocare intorno agli anni novanta. Attualmente afferma di essere povero e di riuscire a vivere solo attraverso un sussidio statale. Nessuna squadra belga lo voleva, e per questo fu colpito da una forte depressione -forse complici anche i problemi in famiglia, con la moglie che lo abbandonò portando con se la figlia- che lo condusse all'alcolismo, da cui fortunatamente ne uscì.

Questo ex calciatore è famoso perché contestò davanti alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee il mancato trasferimento alla squadra del Dunkerque, a causa della Federcalcio belga.
Nel periodo del famoso processo che lo vide protagonista, dopo aver giocato in squadre di Prima Divisione (Jupiler League) come Standard Liegi e RFC Liegi e aver racimolato ben 20 presenze nelle nazionali giovanili belghe, si ritrovò a giocare per squadre minori francesi e belghe. Dopo che venne emessa la sentenza, non trovò posto in nessun'altra squadra, e a suo dire il motivo lo si deve proprio a questa sentenza.

La così detta Sentenza Bosman, emanata il 15 dicembre 1995 gli diede ragione. Ciò determinò una rivoluzione nella regolamentazione del trasferimento dei calciatori all'interno dell'Unione Europea.
La corte stabilì che in base all'articolo 39 del Trattato di Roma, un calciatore è paragonabile a qualsiasi altro lavoratore e perciò deve avere la libertà di decidere per quale paese europeo giocare alla scadenza regolare del contratto che lo lega ad una società di calcio.

Questa sentenza nacque rispetto a tre diversi casi legali, che coinvolgevano tutti l'allora calciatore Bosman: da una parte la Federcalcio belga contro Bosman, dall'altra la RFC Liegi contro Bosman, dall'altra ancora l'Uefa contro Bosman. Costui ha avuto ragione. Ma dopo la sentenza non è riuscito a trovare "casa" in nessuna squadra.

La Sentenza Bosman diede origine alla libera circolazione dei calciatori professionisti all'interno degli stati dell'Ue, e la possibilità di firmare dei precontratti con altri club a titolo gratuito, se il contratto attuale ha una durata ulteriore di al massimo sei mesi.

La sentenza Bosman inoltre proibì alla Uefa e alle leghe degli stati membri dell'Ue di porre limiti al numero dei calciatori stranieri, se gli stessi stranieri appartengono a stati dell'Ue: in sostanza l'ultima parte della sentenza descritta afferma che siamo tutti europei, così come nel lavoro anche nel calcio.
Per ringraziarlo venne organizzata una partita in suo onore (22 giocatori, 11 per parte e senza riserve), e i calciatori della Nazionale olandese si tassarono di 2500 euro ciascuno per aiutarlo.

Tuttavia, il calciatore cadde in una profonda depressione, probabilmente complice il fatto di non aver più trovato posto in nessuna altra squadra.

In ogni caso il nome di Bosman troverà posto sui libri di storia del calcio europeo: attraverso la Sentenza Bosman, non soltanto nacque il paramentro zero, ma il 21 aprile 2005 le 52 federazioni dell'Uefa approvarono una norma volta ad aumentare il numero di calciatori allenati nel proprio paese.

La Sentenza Bosman ha qualche lato negativo? Indirettamente sì, legato al fatto che questa sentenza si è resa involontariamente complice del fatto che gli stipendi ed i premi ai calciatori, detti top player -allo scopo di convincere questi a restare in squadra e non partire a zero euro- sono sempre più alti (anche se la crisi sta ponendo dei tetti in alcuni campionati rilevanti, come quello italiano).

Inoltre a farne le spese sono anche le piccole società, che col parametro zero rischiano di cedere dei buoni calciatori senza guadagnarci nulla.

Tuttavia la sentenza presenta indubbi vantaggi sia per le società (che possono così fare grandi affari), che naturalmente per i calciatori i quali non sono più costretti a restare in una squadra senza la loro espressa volontà, cosa che era capitata proprio a Bosman il quale voleva trasferirsi presso la squadra francese del Dunkerque: tutto partì da lì.

mercoledì 10 settembre 2014

Barcelona-Real Madrid: perché tanta rivalità tra i club e le tifoserie?

El Clasico è una sfida di portata internazionale, uno dei match più attesi e seguiti da tutto il mondo. Si tratta di un incontro che vede contrapporsi due mondi diversi, all'interno dello stesso stato.

Come mai esiste così tanta rivalità tra i blancos e i blaugrana?

La rivalità e le differenze tra le due squadre hanno una storia lontana, risalente a molto prima che i due club nascessero. Barcelona e Real Madrid sono espressione da una parte di indipendentismo, dall'altra di fedeltà alla corona.

La Castiglia con capoluogo Madrid (ovviamente anche capitale della Spagna), e la Catalogna con capoluogo Barcelona esprimono delle tensioni risalenti all'epoca medievale. Il calcio diventa quindi un veicolo di espressione politica che riguarda delle questioni ben più antiche.

Ai tempi del franchismo, la dittatura del fascista Franco, i tifosi del Barça in genere accusano i madridisti di essere stati favoriti dal regime dittatoriale; a loro volta i madridisti rispondono che in verità è l'Atletico Madrid ad aver beneficiato di particolari privilegi: prima della proclamazione di Franco militava in Seconda Divisione, poi la stagione successiva vinse la Liga; non solo: i sostenitori del Real Madrid tengono a rammentare ai catalani che nel periodo della dittatura (1939-1975) sono i blaugrana a vincere più titoli (64 a 62). In più nel 1940 Enric Pineyro, collaboratore di Franco, divenne presidente del Barça, mentre il presidente del Real, Rafael Sanchez Guerra (repubblicano) fu imprigionato e torturato, e gli uomini del dittatore assassinarono anche un vicepresidente e tesoriere del Real e un presidente ad interim scomparve. E ancora, durante la presidenza di Santiago Bernabeu al Real, quest'ultimo si pose contro il governo franchista, anche, nello specifico, per dei fatti che accaddero dopo una partita del Real del tempo.

Conclusa la dittatura, la rivalità politica sembra essersi acuita in favore di una maggiore rivalità prettamente calcistica. Tuttavia, negli ultimi tempi gli indipendentisti catalani -complice anche il particolare periodo di crisi che vive la Spagna- stanno facendo sentire forte la loro voce, e spesso questa rivalità con il centralismo di Madrid trova come mezzo di sfida anche il calcio, con appunto la partita tra Barcelona e Real Madrid.

El Clasico è un match storico, che pone di fronte le due squadre più titolate della Spagna, e molto probabilmente le due compagini spagnole con più tifosi sia in patria che all'estero. Il confronto è stato giocato, ad oggi, complessivamente per 260 volte tra Liga, Coppa di Spagna, Champions League, Supercoppa di Spagna, amichevoli, eccetera: le vittorie del Real ammontano a 95, quelle dei blaugrana sono 107, e di conseguenza i pareggi sono complessivamente 58. In totale, le reti madridiste sono 425, quelle catalane 452. L'ultima sfida si è giocata nella finale di Coppa di Spagna, e ad aggiudicarsi la competizione sul neutro di Valencia fu il Real Madrid che vinse per 2 reti ad una

(foto cc-by-sa-2.0 autore: Alejandro Ramos)

martedì 9 settembre 2014

Scontri fra estremisti di destra, in un caso che divenne politico

Quanto segue è una storia che risale a ormai sei anni fa, ma non per questo deve essere dimenticata.

Era il 12 ottobre 2008: dopo che vennero fermati 3 italiani a Sofia in seguito agli scontri avvenuti prima di una partita tra Bulgaria e Italia nella città di Sofia, i tre vennero rilasciati per mancanza di prove e l'inchiesta andò avanti contro ignoti. Tuttavia gli scontri vi furono, così come le braccia tese e gli inni fascisti.

La gara era valida per le qualificazioni al Mondiale 2010, ed i tre italiani vennero in un primo momento accusati di vilipendio alla bandiera bulgara, avendola bruciata.

Ma accade ben altro quella sera, e le parole di Pina Picierno (Pd) furono abbastanza esplicative: "Le scene a cui abbiamo assistito ieri sera sono inquietanti. Svastiche e braccia tese al seguito della nazionale, scontri dentro e fuori lo stadio animati da estremisti nazifascisti italiani e bulgari: uno scenario veramente preoccupante". Mentre poco prima della gara, i tifosi bulgari fischiarono pesantemente l'inno di Mameli. Insomma: una situazione che si fece pesante, alimentata da
odio e ideologie di estrema destra. Il calcio che si fa veicolo politico.

Tuttavia Rocco Crimi, allora sottosegretario con delega allo sport spiega che si tratta di "Una vergogna del calcio, anzi dello sport italiano, ma non la caratterizzerei in maniera politica". Infatti per Crimi l'aspetto politico in questo caso è "Irrilevante", e questo perché "La verità è che ci sono tifosi violenti di destra, di centro e di sinistra che cercano solo di sfruttare la ribalta mediatica del calcio".
Anche altri politici intervennero per commentare tale episodio. Per esempio si aprì una piccola polemica tra Ignazio La Russa (attualmente in Fratelli d'Italia -AN) e Francesco Storace, leader de La Destra.

Da una parte vi fu La Russa che condannò i cori fascisti lanciati dagli ultras italiani che si resero protagonisti dei tafferugli, dall'altro Storace criticò La Russa per tali dichiarazioni perché quei cori li intonava lo stesso La Russa da giovane (militava nel MSI).

Naturalmente la Nazionale di calcio in se non ha nulla a che spartire con episodi del genere, tant'è che il ct dell'epoca, Marcello Lippi affermò: "Anche se ieri io mi sono accorto solo dei fischi all'inno di Mameli, ho letto oggi cosa è successo a Sofia. È la prima volta e non deve accadere più. Non voglio dire altro, anche perché di queste cose devono parlare le persone che se ne occupano".

Si diceva che la squadra azzurra, così come quella bulgara, con questi episodi nulla ha a che vedere direttamente, e del resto le violenze per manifestazioni sportive sono comuni un po' ovunque.

Restando in tema di nazionali, questo blog ne approfitta per congratularsi con l'Italia del c.t. Conte che stasera ha sconfitto 2-0 la Norvegia, così come con l'Italia Under 21 di Gigi Di Biagio, che ha battuto il Cipro per 7 reti ad una.

lunedì 8 settembre 2014

Politica e calcio nel Kashmir

Il noto pedagogista Agha Ashraf Ali, appasionato di calcio e pedagogista, affermò che il calcio ha sempre rappresentato un fronte per il movimento di liberazione in Kashmir.

Ai tempi dell'Impero britannico il Kashmir era governato dalla famiglia reale indù dei Dogra. Quando il Friends Club, una squadra locale kashmira sconfisse la formazione della polizia reale, il pubblico acclamò gli atleti locali, irridendo i giocatori del re, i quali rimasero arrabbiati per la sconfitta, ma in modo così forte che quando i vetturini li riaccompagnarono nella zona in cui stazionava la polizia, non soltanto non pagarono i vetturini, ma li picchiarono. Così questi ultimi tornarono a casa senza soldi, con percosse, e sanguinanti.

In seguito all'accaduto, quando lo venne a sapere lo sceicco Mohammad Abdullah -colui che in seguito guidò una rivolta contro i reali diventando il primo ministro del Kashmir- insieme a poche altre persone si armò di mazze da hockey e attaccò un gruppo di soldati reali.

L'episodio appena descritto deriva dalle parole del pedagogista Agha Ashraf Ali (tratte da un articolo di mondocalciomagazine.it) a cui si è già accennato.

In generale, non è la prima volta che il calcio genera violenza, non lo è nemmeno per questioni politiche. Il pallone in quanto tale però non c'entra, il calcio va di per se tenuto distante dagli episodi di violenza appena descritti, che sono scaturiti solo indirettamente dallo sport. Perché se qualcuno non è in grado di accettare la sconfitta (risultando poco "sportivo"), la colpa di conseguenti episodi di violenza non la si può attribuire alla partita in quanto tale.

In realtà, come è facile intuire, i reali ai tempi dell'Impero britannico erano veramente malvisti. Da qui il motivo della derisione del pubblico, entusiasta di aver battuto gli uomini del re.

Il Kashmir è una regione dell'India che venne dominata dalla dinastia dei Dogra fino al 1947.
Il calcio fu introdotto in Kashmir da Tyndale Biscoe, missionario britannico fondatore della scuola Biscoe a Srinagar nel 1891, e pian piano divenne vieppiù sport popolare.

Oggi la regione è rivendicata da tre diversi stati che la amministrano: India, Cina e Pakistan, e la situazione interna è pertanto molto complessa. La rivendicazione di questo territorio è uno dei motivi di conflitto tra India e Pakistan e d il calcio locale non ha una lunga tradizione in questo territorio, visti anche gli episodi bellici caratterizzanti il luogo.

In periodo di maggiore tranquillità il calcio torna ad essere seguito, assumendo anche contorni politici. Quando la squadra del Kashmir (il più settentrionale degli stati dell'India) sconfisse il Delhi nel Santosh Trophy uno striscione recitava: "il Kashmir batte l'India", evidentemente volto a sottolineare un'ideologia indipendentista. Tra l'altro la "fetta" di Kashmir indiana è ufficialmente conosciuta col nome di Jammu e Kashmir, ed il trofeo di cui prima è una competizione a carattere annuale che si svolge in India.

(attribuzione foto: VlSimpson CC BY-SA 3.0)

domenica 7 settembre 2014

Arabia Saudita, donne e calcio

 Finale di Coppa d'Asia 1984: i sauditi contro la Cina vinceranno 2-0
In Arabia Saudita la condizione di libertà delle donne è fra le più basse al mondo, e nell'indice sulla differenza di diritti tra i generi si colloca al 127° posto su 136 paesi. Nel mese di aprile 2014 una donna venne condannata a 150 frustate e 8 mesi di carcere solo perché aveva guidato un'automobile!

Diverse donne saudite guidarono l'automobile a partire dal giugno 2013, allorquando venne lanciata la campagna #womentodrive che incitava le donne a infrangere il divieto e a mettersi alla guida.

Il problema delle donne, però non riguarda solo la guida delle automobili: la donna saudita dipende in tutto e per tutto dall'uomo giacché è sottoposta a severe regole e a tantissimi divieti. Infatti non può uscire, lavorare, andare dal medico senza il consenso del guardiano, ossia uno tra il padre, il marito e il fratello.

Qualche piccolissimo passo in avanti verso l'ottenimento di qualche libertà (ma si parla di un margine di emancipazione comunque molto risicato) lo si sta ottenendo negli ultimi anni, visto che finalmente le donne possono prendere un taxi da sole, possono andare in qualche palestra, e dal 2020 potranno finalmente ottenere una carta d'identità.

Da quando re Abdullah nel 2005 salì al potere le donne assunsero un maggiore ruolo nella vita pubblica, per esempio nel 2009 Norah al-Faiz divenne la viceministro dell'Educazione e nel 2013 30 donne trovarono posto nella Shura, organo consultivo di 150 membri direttamente nominati dal sovrano. Inoltre, dal 2014 per la prima volta le donne hanno ottenuto il diritto di voto (per le elezioni comunali) e sempre dal 2014 finalmente è entrata in vigore la legge che punisce la violenza domestica.

Proprio come per altri paesi islamici, inoltre, alle donne è tradizionalmente fatto severo divieto di accedere alle manifestazioni calcistiche e sportive in genere, eppure qualche piccolo segnale utile a farci dire che qualcosa anche da quel punto di vista si sta lentamente muovendo c'è.

Nel 2013 Ahmed El Harbi, il presidente della Lega Calcio Saudita affermò che presto le donne avranno accesso agli stadi. Vedremo se quel che ha affermato si avvererà, ma sta di fatto che secondo alcune fonti non è la federazione a decidere per l'accesso, la cui decisione spetta alle autorità.

Ciò detto, va sottolineato comunque che l'Arabia Saudita ospiterà la fase finale di Coppa d'Asia nel 2019 e che in base alle regole della Federazione asiatica, devono essere previsti spazi per le donne in tribuna. A questo va aggiunto che il Comitato olimpico internazionale ha acconsentito che le donne saudite prendano parte agli organismi di tale comitato nel rispetto dell'abbigliamento islamico.

sabato 6 settembre 2014

2012: il "derby dello spread"

Varsavia, 16 giugno 2012
Il 16 giugno del 2012 accaddero due fatti importanti per gli ellenici: la Grecia batté la Russia contro ogni pronostico, accedendo ai quarti di finale di Euro 2012 (giocato in Polonia e Ucraina); il partito greco di Nea Dimokratia del leader Antonis Samoras vinse le elezioni davanti ad un pronostico anche qui non scontato: infatti ottenne il 29,5% rispetto al 27% ottenuto da Syriza, il partito di sinistra di Alexis Tsipras che si dichiarò -e continua a dichiararsi- decisamente contrario alle politiche di austerità imposte dalla Germania.

Le tensioni tra la Grecia e la Germania per via della forte crisi che colpì lo stato ellenico furono elevatissime, il clima anti-europeista che si respirò in Grecia in quel periodo spaventava coloro i quali si dichiaravano convinti europeisti. Gli ellenici accusarono (e continuano ad accusare) la cancelliera tedesca capo del governo Angela Merkel di essere la principale responsabile della forte crisi, delle politiche di austerità e della povertà regnante in Grecia.

Così la vittoria del partito pro-europeista scongiurò un'eventuale uscita della Grecia dall'Euro. Non solo: ai quarti di finale la Grecia si ritrovò di fronte nientemeno che... la Germania! Si, proprio quella tanto odiata nazione.

Quella partita venne soprannominata il Derby dello Spread. Giocata il 22 giugno, vide imporsi la Germania per 4 reti (39' Lahm, 61' Khedira, 68' Klose, 74' Reus) a 2 (55' Samaras, 89' Salpingidis su calcio di rigore). Quindi la tanto voluta "rivincita" non vi fu. Poi, come finì l'Europeo è storia nota: l'Italia sconfisse la Germania, ma venne battuta a sua volta, pesantemente in finale dalla Spagna.

Un aspetto che si evince da questa storia, è che il calcio in tale frangente per tanti ha rappresentato un modo per poter "prendersi la rivincita" contro una nazione odiata, ritenuta dagli ellenici responsabile di molte disgrazie. Il calcio che si commistiona, per l'ennesima volta, alla politica.

(foto: Graeme Maclean da Wikimedia Commons)

venerdì 5 settembre 2014

Notizie dalla Lega Pro

Lo stadio dall'Arezzo, la squadra appena ripescata il Lega Pro
"Politica e imprenditoria hanno il dovere di sostenere, con atti concreti, il progetto portato avanti dalla società". Questo perché "Lo sforzo che sta producendo il presidente Cosentino per riportare il Catanzaro nel calcio che conta non può passare inosservato".

Queste parole sono state pronunciate, a luglio, dall'assessore regionale della Calabria, Domenico Tallini, che invitava il sindaco di Catanzaro ad attivarsi per fare qualcosa per migliorare le casse della società di calcio, ed invitava i tifosi a fare l'abbonamento proprio perché c'è necessità di riempire le casse della società. Conclude infine dichiarando "Cosentino ha fatto la sua parte, ora tocca a noi".

Il Catanzaro attualmente milita in Lega Pro, il terzo livello di calcio italiano, ed è in tale categoria dal 2012, anno in cui venne promosso.
Lo scorso campionato ha visto il Catanzaro classificarsi al quarto posto, perdendo nei play off utili a salire in Serie B nei quarti di finale (contro il Benevento).

A proposito di Lega Pro, la squadra ripescata grazie al vuoto lasciato dal Siena in B per fallimento e colmato dal Vicenza, che a sua volta ha lasciato un posto libero in terza serie, è stata l'Arezzo. Non è bastato dunque l'appello del Ministro dell'Interno Alfano o le proteste dei tifosi di Agrigento verso il Comune affinché fosse ripescata l'Akragas. Si è scelto l'Arezzo, squadra che negli anni passati è stata anche in Serie B, in 16 occasioni, mentre in terza serie ha disputato 47 campionati.

Il comunicato ufficiale della Figc recita: "La Figc ha deciso di integrare l'organico del campionato di Divisione Unico della LegaPro ammettendo di campionato stesso la società di Arezzo". Delusa Agrigento, a sperarci vi erano però anche altri club: Corregese, Poggibonsi e Taranto. Dopo quattro anni gli aretini, che in una fase play off dello scorso campionato di D vennero battuti (tu pensa) proprio dall'Akragas, torneranno tra i professionisti, distribuendo gioia e felicità tra i tifosi toscani. Resta l'amarezza per i sostenitori dell'Akagras, che tuttavia potranno sperare in una promozione sul campo nel campionato di Serie D di questa stagione sportiva appena iniziata.
  
(diritti e attribuzione foto:User:Paolomenchetti/Crediti)

giovedì 4 settembre 2014

Politica del calcio - Parte 7: le ultime dichiarazioni di Tavecchio

Questa sera l'Italia ha battuto l'Olanda in amichevole, in un'incontro che ha sancito l'esordio da commissario tecnico di Antonio Conte, che ha dunque debuttato nel migliore dei modi, ossia con una vittoria.

L'Italia si porta in vantaggio già nel primo tempo, grazie alle reti di Ciro Immobile al 3' e di Daniele De Rossi su calcio di rigore al 10'.

Nell'intervallo, il giornalista Rai a bordocampo intervista il nuovo presidente della Federazione, che ha colto l'occasione per presentarsi nuovamente al grande pubblico del piccolo schermo, cercando in questo modo dare di sé una buona immagine, che si era leggermente sbiadita dopo i fatti che lo hanno visto essere accusato di razzismo.

Nell'intervista Tavecchio ha dichiarato che questa partita rappresenta "Un buon inizio" per Conte. Inoltre ha sottolineato il fatto che il presidente della Fifa Sepp Blatter lo ha contattato facendogli gli auguri per la sua nuova avventura da massimo dirigente della Figc. In terzo luogo, quando il giornalista gli ha posto la domanda sull'inchiesta aperta dall'Uefa per la sua affermazione razzista (di cui si è parlato anche in un precedente post), inerente ai giocatori che mangiavano banane (per la quale, come già post precedenti hanno ribadito, ha chiesto scusa ammettendo l'errore) ha precisato che farà di tutto per dimostrare di non essere razzista.

Naturalmente Tavecchio non poteva scegliere una vetrina migliore di quella offertagli stasera, con la "sua" nazionale in vantaggio, guidata dal commissario tecnico scelto sotto la sua presidenza.

Naturalmente con questo post non si vuole screditare nessuno in alcun modo, soltanto mettere in evidenza che Tavecchio ha scelto veramente una bella serata per ripresentarsi, e ribadire che le accuse che gli sono state mosse pochi giorni prima delle elezioni per il nuovo presidente, sono infondate.

In effetti, quello che Tavecchio nel complesso oltre a quell'espressione infelice (così definita successivamente da lui stesso) intendeva dire che molto spesso nel calcio italiano si tende a far giocare di più i calciatori stranieri a scapito di quelli italiani, e che urge al più presto una politica volta a valorizzare i giovani talenti residenti in Italia. In più Tavecchio dopo le accuse mossegli, è stato prosciolto dalla giustizia sportiva italiana e dunque si sente "Molto sereno".

Nel corso dell'intervista che gli è stata fatta durante l'intervallo, Tavecchio ha anche parlato di Fiona May, nel ruolo di consigliere all'integrazione contro il razzismo (che sembra essere stata scelta appositamente per quel ruolo per mettere a tacere i suoi accusatori): "Con lei abbiamo aperto una nuova frontiera, conoscendo l'esperienza di Fiona e quello che potrà darci in tema di razzismo e di Fair Play".

mercoledì 3 settembre 2014

Quando la politica ostacola il calcio - Parte 3: 1968-69, l'Europa comunista si ritira dalle coppe

La Cecoslovacchia: le sue regioni e i suoi confini
Nelle coppe europee, per motivi politici accadde qualcosa di singolare: alla vigilia della stagione 1968-69 tante squadre dell'Est decisero di non partecipare alle manifestazioni.

Ciò derivò dal fatto che il blocco orientale era filosovietico, sicché la scelta aveva un significato chiaramente di natura ostile verso i paesi dell'Ovest.

In quel periodo, uno dei motivi di questa scelta fu sicuramente l'invasione della Cecoslovacchia da parte dell'Unione Sovietica, che diede origine ad anni di tensioni tra il mondo orientale con quello occidentale.

In Coppa dei Campioni, quell'anno vi giocarono 27 squadre. A causa di fatti legati alla Primavera di Praga, come detto si ritirarono alla vigilia diversi club: la Dinamo Kiev, il Ferencvaros, il Levski Sofia, il Ruch Chorzow ed il Carl Zeiss Jena.

A vincere la competizione fu il Milan, che sconfisse l'Ajax per 4 reti a 1 (tripletta di Pierino Prati e un gol di Sormani per il Milan, e rete di consolazione di Vasovic per gli olandesi).

In Coppa delle Coppe, per la solita ragione politica della Primavera di Praga, rinunciarono a partecipare alla competizione le seguenti squadre: Dynamo Mosca, Gyori, Spartak Sofia, Gornik Zabrze, Union Berlin (quest'ultima appartentente alla Germania Est), ed a vincere in finale fu lo Slovan Bratislava che sconfisse il Barcelona(!) per 3 a 2.

In casi come quelli appena descritti la relazione calcio-politica è veramente significativa, in quanto si tratta di un ennesimo fenomeno di politica che ostacola il regolare svolgimento di importanti manifestazioni. Il tutto, si diceva per i fatti legati alla Primavera di Praga. Ma di cosa si trattò esattamente?

La Primavera di Praga, iniziata il 5 gennaio 1968 con il riformista slovacco Alexander Dubcek salito al potere, fu un processo di liberalizzazione politica avvenuto in Cecoslovacchia, volto ad ottenere maggiore autonomia dall'Unione Sovietica. Le riforme della Primavera di Praga furono dunque un tentativo di concedere più diritti ai cittadini cecoslovacchi, e questo processo andò avanti sino al 20 agosto del '68, quando cioè l'URSS e i suoi stati alleati del Patto di Varsavia -tranne la Romania- invasero il territorio.

L'occupazione sovietica in terra cecoslovacca durò fino al 1990, poi in seguito vi fu la famosa caduta del Muro di Berlino, la fine della guerra fredda tra Est e Ovest e la scissione dello Stato in due distinte repubbliche: la Slovacchia e la Repubblica Ceca (anche identificata con il meno comunemente utilizzato "Cechia").

martedì 2 settembre 2014

Quando la politica ostacola il calcio - Parte 2: 1959, il rifiuto della Spagna franchista a giocare contro l'Urss

Il Parco dei Principi, l'impianto in cui l'Urss si aggiudicò il primo campionato Europeo  
Correva l'anno 1959: la nazionale calcistica della Spagna, quella di Luisito Suarez e Alfredo Di Stefano fu ad un passo dal qualificarsi alla fase finale della prima edizione del campionato europeo.

Al momento del sorteggio, risultò che la Spagna allora governata dal dittatore fascista Francisco Franco, avrebbe dovuto calcisticamente disputare due partite -di andata e ritorno- contro la nazione simbolo del comunismo nel mondo: quella tanto mal vista Unione Sovietica. Le gare erano valide per i Quarti di finale utili all'accesso alla fase finale. Il dittatore però impedì alla squadra iberica di giocare, e dunque le negò automaticamente l'accesso al torneo europeo del 1960.

A qualificarsi fu dunque l'Urss, che nella fase finale giocata in Francia sconfisse 3-0 la Cecoslovacchia, e nella finale al Parco dei Principi di Parigi, il 10 luglio, davanti a 17.966 spettatori paganti, grazie alle reti di Metreveli al 49' che realizzò l'1-1 e di Ponedel'nik nei tempi supplementari, batté la Jugoslavia per 2 a 1.

La manifestazione e la coppa furono dunque vinte dall'Unione Sovietica, la quale si risparmiò ben due partite -tra andata e ritorno- contro la pur fortissima Spagna dell'epoca. Una situazione in cui la politica ha avuto un ruolo forse decisivo nel determinare la vittoria di una squadra di calcio: cosa sarebbe accaduto se il doppio confronto si fosse disputato non lo sapremo mai.

Tuttavia la Spagna seppe prendersi la rivincita quattro anni più tardi, alla seconda edizione dell'evento: nell'Europeo del 1964, giocato proprio in Spagna, sconfiggendo in finale proprio i sovietici, per 2 a 1.

(autore foto Parco dei Principi: Stanmar )

lunedì 1 settembre 2014

Champions League: Milano concorre per la finale del 2016

Lo stadio di San Siro candidato ad ospitare la finale di Champions League del 2016. (Foto Nahuel from Milano, Italy)
Sul sito della Figc, in un articolo di qualche giorno si afferma, riportando alcune dichiarazioni del direttore generale della federazione Antonello Valentini, che la città di Milano è pronta ad ospitare la finale di Champions League del 2016. Infatti proprio Valentini ci informa di aver già inviato all'Uefa gli ultimi documenti utili a completare la candidatura della città meneghina.

Il Comune, che detiene la proprietà sullo stadio, a tal proposito assieme al Consorzio che gestisce l'impianto M-I Stadio S.r.l. ha inviato alla Figc un documento ufficiale che certifica, secondo Valentini, che quanto richiesto dall'Uefa per ospitare la finale è stato adempiuto.

Ci si è infatti mossi nella direzione desiderata dalla federazione europea per esempio riqualificando alcuni settori dell'impianto di San Siro, operazione finanziata per intero dal Comune, abbattendo i divisori interni, realizzando il Champions Village, area particolare dedicata appositamente alla prestigiosa manifestazione calcistica, in collaborazione con la Snai, l'azienda di scommesse che è proprietaria di quell'area, che rappresenta la zona in cui si pratica il trotto.

Milano già ospitò la manifestazione nel 1964-65 (Inter-Benfica 1-0), nel 1969-70 (Feyenoord-Celtic 2-1 d.t.s.) e nel 2000-01 (Bayern Monaco-Valencia 1-1 d.t.s. e 5-4 ai rigori).

Il Milan, nonostante abbia vinto la Champions per 7 volte nella sua storia, non ha mai avuto l'onore di vincerla nel proprio stadio. Tuttavia, la città di Milano nel suo complesso è quella che conta più titoli di Coppa Campioni/Champions League, se si consedirano anche le tre coppe nerazzurre. Se si tiene conto non solo delle vittorie, ma anche dei secondi posti (4 per il Milan e 2 per l'Inter), la Milano calcistica conta complessivamente addirittura 16 finali disputate in questa competizione. E nel resto d'Italia?

La Juventus è l'altra italiana ad aver vinto questo prestigioso trofeo, per 2 volte (e conta anche altre 5 finali perse), mentre la Roma non ha mai vinto la competizione ma vanta una finale nel 1984.

La finale di Champions si è giocata anche a Roma nello Stadio Olimpico (per 4 volte): nel 1977 (vittoria del Liverpool contro il Borussia M'bach), nel 1984 (nuova vittoria finale del Liverpool ai danni della Roma), nel 1995-96 (vittoria finale della Juventus sull'Ajax) e nel 2008-09 (ospitando il big match Barcelona-Manchester Utd, finito 3-1 per i catalani).

Non solo: per quanto riguarda l'Italia, la manifestazione si è disputata anche a Bari (1991), nello Stadio San Nicola: il match di quella finale fu Stella Rossa-Olimpique Marsiglia 0-0 (poi 5-3 ai rigori).

L'Italia ha quindi già ospitato diverse volte la manifestazione, ed ha ben figurato storicamente in essa grazie ai club italiani che vi hanno preso parte. Negli ultimi anni le squadre italiane faticano un po' nella competizione, ma nel complesso la storia e la tradizione sono a favore del Belpaese, che pare avere tutta l'intenzione di far giocare nuovamente a Milano, dopo 14 anni l'evento finale di questa competizione (che diventeranno 15 anni, anche perché quella di quest'anno è già stata prenotata da Berlino per l'Olympiastadion).